La nostra recensione del nuovo show degli Iron Maiden, A.K.A. perché non potete perdervi il concerto dell'anno
- Frank Travagli
- 8 giu
- Tempo di lettura: 16 min

L'ultima volta che avevamo visto gli Iron Maiden risale, come per molti di voi, al 2023. Non li abbiamo seguiti in America lo scorso anno, un po' per mancanza di tempo e un po' perché sentivamo che con il Future Past Tour eravamo a posto. Certo, sapendo che quelli sarebbero stati gli ultimi concerti di Nicko non ci avremmo pensato due volte, però è andata così. Il Future Past è stato un ottimo tour sotto molti punti di vista, ma a nostro modo di vedere mancava quel qualcosa che ci facesse dire: "Dai, andiamo a vederli ancora, oltreoceano". Un po’ la produzione del palco, che ci ha deluso (e non ne abbiamo mai fatto mistero), un po’ alcune scelte nella scaletta (ancora piangiamo al pensiero che non sentiremo mai The Parchment dal vivo)... insomma, dopo averli visti più e più volte in Europa, non sentivamo il bisogno di esagerare. Sarà anche per questo che non vedevamo l’ora di assistere alla prima data del nuovo Run For Your Lives Tour, che prometteva faville soprattutto dal punto di vista scenografico.
Per mesi abbiamo fantasticato sulla possibile scaletta, su come avrebbe suonato Dawson, su cosa sarebbe cambiato nel modo di suonare della band, sul palco, sui suoni… Insomma, tutto questo per dire che il 27 maggio, in un pub vicino alla Budapest Arena, faticavamo a contenere l’emozione.

La nostra giornata Maideniana inizia proprio in quel pub, quando vediamo arrivare alcuni fan con una maglietta che non avevamo mai visto prima. Dopo aver chiesto informazioni, ci viene confermato che si trattava della maglietta evento per i due show a Budapest. L’artwork è fenomenale, uno dei migliori degli ultimi anni, e così la osserviamo a lungo. Troppo a lungo. O comunque abbastanza da notare due palesi spoiler sulla scaletta: uno, un po’ scontato, riguardante Rime of the Ancient Mariner, e l’altro relativo ad Aces High. Non avevamo dubbi sulla presenza di Rime, però siamo rimasti perplessi per la traccia di apertura di Powerslave, in quanto era l’ultima opener che avremmo voluto vedere. Non per la canzone in sé, sia chiaro, ma perché ciò avrebbe significato un inizio di concerto già visto, e anche abbastanza di recente.
Dopo un discreto numero di birre (d’altronde, con i prezzi ungheresi sarebbe stato criminale non approfittarne!) ci dirigiamo all’arena, più o meno all’ora di apertura. Per una volta abbiamo lasciato perdere le notti fuori dalla venue e le code interminabili, cercando di vivercela nel modo più rilassato possibile. Abbiamo fatto bene, visto che siamo comunque riusciti ad arrivare nelle prime file senza problemi.
Per questa prima parte di tour sono gli Halestorm a ricoprire il ruolo di special guest, guidati dalla bravissima Lzzy Hale. Il talento della band è innegabile, anche se va detto che in questo primo show non ci hanno convinto più di tanto, complice un suono un po’ ballerino.C’è da dire che i fan dei Maiden sono fin troppo fissati con i propri beniamini, per cui raramente ci sono state band capaci di far breccia, soprattutto alla prima data di un nuovo tour.
Nel mentre che gli Halestorm si esibiscono, diamo un’occhiata al palco. Notiamo subito gli airburst appesi al lighting rig, altra conferma della presenza di Rime. Tuttavia, arriva anche la conferma di uno dei nostri peggiori timori: niente più backdrop. Manca proprio il meccanismo per farle cambiare: non c’è nulla, se non questo imponente schermo. Nei giorni precedenti allo show era spuntata una foto del montaggio palco che lo lasciava presagire, ma vederlo dal vivo è stato un altro conto. Che ci sarebbero stati più schermi lo davamo per scontato, ma rimuovere completamente i fondali? Concedeteci un po’ di paura.
Inoltre, c’era qualcosa nella struttura del palco che ci sembrava diverso, ma in quel momento non riuscivamo a identificarlo. Lo capiremo solo più tardi.
Alle 20:50 le note di Doctor Doctor iniziano a diffondersi dagli altoparlanti e il pubblico, come da tradizione, esplode. Sentire questa canzone, sapendo cosa sta per accadere, è sempre un’emozione fortissima, ma in questo tour c’è un’elettricità particolare nell’aria. Dopo aver cantato a squarciagola la hit degli UFO, arriva il momento più bello: quello in cui ti chiedi, ogni due per tre, “E adesso?”.
L’arena è ovviamente strapiena e completamente al buio. Si inizia a sentire un rombo di motori. Con i nostri amici ci guardiamo rassegnati: “Vabbè dai, in fondo sapevamo che l’opener sarebbe stata Aces High.” In effetti, per qualche secondo, sembrava che da un momento all’altro dovesse partire il famoso discorso di Churchill. E invece no. Si iniziano a sentire sirene, mentre sullo schermo compaiono immagini intermittenti, come se un vecchio lampione difettoso si stesse accendendo. Un breve crescendo... poi di nuovo silenzio. Ed è lì che tutta l’arena esplode. The Ides of March viene cantata dai presenti (curioso, visto che è strumentale!) mentre sullo schermo scorre uno stupendo video, stracolmo di riferimenti alla storia della band, dal West Ham di Steve al Cart & Horses. L’intro termina, mentre il video prosegue, portandoci in un tunnel alla fine del quale troviamo un muro. Ed è sulle note di Murders in the Rue Morgue che viene svelato un murales con l’Eddie di Killers. L’arena è in delirio: lo show può cominciare.
Come accaduto nelle precedenti esecuzioni dal vivo di questo brano, la band entra in scena con la rullata che dà il via al pezzo. Qui però concedeteci una critica (e no, non è quella a cui state pensando, anche se collegata): siamo sicuri che far iniziare il concerto a Simon, con tutta la pressione addosso, sia stata una buona idea? Non parliamo di una data qualsiasi, ma della prima di un nuovo tour, e per la prima volta in 26 anni c’è un cambio nella formazione. Anche gli altri Maiden saranno stati agitati, certo, ma loro aprono tour ogni anno. La rullata di Dawson, infatti, è leggermente storta, probabilmente per l’emozione. Nulla di grave, parliamo di pochissimi secondi, ma mettiamoci nei suoi panni: ha già gli occhi di 12.000 persone addosso (perché ora si vede il batterista!), più quelli di milioni di fan che stanno aspettando solo di coglierlo in fallo. Sbagliare subito deve essere stato psicologicamente durissimo per il resto dello show, in cui era chiaramente nervosissimo.
Detto questo, i Maiden partono comunque col botto (anzi, i botti: gli stessi del Future Past Tour), dando ufficialmente inizio alle danze. Sono sempre loro: corrono, saltano, scherzano e - soprattutto - suonano. Nessun momento imbarazzante come a Lubiana 2023 (quando Bruce sbagliò la metrica di Caught Somewhere in Time) o a Praga 2005 (quando Nicko ad una certa andò completamente fuori, proprio su Murders). L’esecuzione è solida, precisa, forse più che mai: con un batterista meno “variegato” di Nicko, il resto della band può andare più sul sicuro. Il suono nelle prime file del parterre non è perfetto, ma sono dettagli da prima data e non ci facciamo troppo caso.
Finita Murders, tocca alla prevedibile ma sempre coinvolgente Wrathchild, che fa cantare a squarciagola tutta Budapest. Il pezzo ha la fama di essere immancabile nei set dei Maiden, ma in realtà, dal 2010 a oggi, è comparso solo in due tour - e nemmeno in tutte le date. Nota sulle chitarre: sembra che Dave e Adrian stiano cercando di restare il più fedeli possibile alla versione in studio.

Segue una gradita sorpresa: dopo 26 anni torna finalmente Killers! Bruce è in forma smagliante e i suoi urli iniziali sono da pelle d’oca. Il pezzo fila via potente e compatto, segno che è stato provato a lungo. Si sente un “muro di suono” che era un po’ mancato nel Future Past Tour, complice un Nicko ancora in fase di recupero. Simon, più vicino a Clive Burr che a McBrain come stile, è perfettamente a suo agio su questi brani. Durante gli assoli, arriva anche il primo walking Eddie della serata, ovviamente con le fattezze di quello presente nella locandina del tour.
Finita anche Killers (suonata come su disco e non nella versione “accorciata” del 1999), c’è il primo momento di pausa. Bruce dà il benvenuto al pubblico e, senza troppi giri di parole, presenta Simon Dawson alla batteria, accolto da un boato gigantesco (a dispetto di ciò che qualcuno scrive online...). Neanche il tempo di farlo sedere che Bruce annuncia Phantom of the Opera. Non una sorpresa - era nel teaser del tour - ma l’entusiasmo resta alle stelle. È qui che notiamo un dettaglio fondamentale: il ballatoio non è coperto dai soliti teli, ma da schermi! Ecco spiegato il sorprendente senso di tridimensionalità e immersione. L’effetto è davvero spettacolare, e siamo solo all’inizio...
Musicalmente, la band è compatta anche su Phantom. L’intesa tra Steve e Simon si percepisce nitidamente: non è nata in qualche settimana di prove, ma in anni di concerti insieme in altri contesti. Unica nota negativa: mancano le fiamme che normalmente accompagnano gli “Scream for me!” di Bruce. Peccato!
Lo show prosegue con il ritorno di The Number of the Beast, assente nel Future Past Tour. Poco da dire: esecuzione solida, e una batteria che si avvicina di più alla versione originale su disco che non a quella di Nicko. Il video sul maxischermo ha un’estetica anni ’80 molto azzeccata, e sui laterali le immagini sono in bianco e nero - piccoli dettagli, ma apprezzatissimi.
È poi il turno di The Clairvoyant, brano di Seventh Son che mancava dal 2013. Ci saremmo aspettati una The Evil That Men Do a questo punto, ma va benissimo così (anzi: meglio!). Qui Simon gioca sul sicuro, probabilmente per tensione, e non si concede particolari variazioni.
Dopo un particolarmente lungo “...And be reborn again” (ma quanto sta cantando bene Bruce?), la posta in gioco si alza. Parte l’intro registrata di Powerslave, e il pubblico esplode. Simon attacca con sicurezza, accompagnato da un’esplosione di pyro. Su questo brano il nuovo batterista brilla davvero, con uno stile che omaggia Nicko senza imitarlo. Dai passaggi sui tom agli assoli, una prestazione impeccabile.
Si torna a brani più diretti con 2 Minutes to Midnight, assente dai palchi dal 2019. Il pubblico canta ogni parola, ed è bello vederla riapparire in scaletta.
Dopo un pyro che parte dal nulla (“Amo quando va tutto secondo i piani”, scherza Bruce), il cantante ci invita a guardare in alto: “Ho visto qualcosa, ma non so bene cosa sia… un uccello, forse?”
Ora: trovate un’altra band che riesca a mandare in visibilio un’intera arena solo fingendo di aver visto un volatile. Perché a quel punto era chiaro dove Bruce volesse andare a parare: “This is what not to do if a bird shits on you!”
Rime of the Ancient Mariner ritorna dopo 16 anni. La reazione è devastante: salti, urla, cori. Dawson fa un lavoro eccezionale, fedele allo spirito di Nicko ma con una sua identità. Bruce è mostruoso: sembra di ascoltare la versione del 2008. La band è in perfetta sincronia, come se il brano fosse in scaletta da sempre. Piccolo inciampo di Adrian nella parte lenta, ma niente di grave - è pur sempre la prima sera.
Nota stonata: le immagini sul maxischermo ci sono sembrate generate con l’intelligenza artificiale. Non ne abbiamo la certezza, ma se fosse così, sarebbe un po’ ipocrita da parte di chi si è espresso in modo abbastanza duro contro l’AI. Inoltre, indipendentemente dal mezzo usato, il video “racconta” fedelmente tutta la storia narrata da Coleridge - pardon, da Bruce - risultando forse troppo ricco e distraendo un po’ dalla musica.

Chiusa la ballata del marinaio, Run to the Hills arriva a spezzare la tensione. Pensavamo di trovarla in chiusura, ma piazzata qui funziona benissimo e regala al pubblico un momento di puro entusiasmo dopo un brano così lungo e articolato come Rime.
E adesso, per chi scrive, arriva forse il momento più bello di sempre a uno show degli Iron Maiden. Siamo all’undicesimo brano, dopo aver sentito tracce epiche come Powerslave e Rime of the Ancient Mariner. Solitamente la canzone numero dodici è Iron Maiden, per cui non solo noi della pagina, ma probabilmente tutta l’arena è già pronta per Fear of the Dark. È il suo posto, è chiamatissima e nessuno avrebbe nulla da obiettare. E infatti Simon inizia lentamente a scandire il tempo con il charleston. Io e un mio amico ci guardiamo come per dire “Eh vabbè, è arrivato quel momento”. Nel frattempo, però, sul quarto colpo Simon si sposta dal charlie al piatto. Un boato enorme parte da ogni singola parte dell’arena, probabilmente anche dai bagni (del resto sappiamo che molti dei veterani approfittano di Fear per una piccola pausa). Vediamo persone che si abbracciano, persone che pregano, persone con sorrisi a 32 denti mentre guardano l’immagine del maxischermo: Seventh Son of a Seventh Son è tornata!
Probabilmente chiunque avrebbe escluso la sua presenza in questo tour, soprattutto chi dava per scontata Rime of the Ancient Mariner. Mai nella loro carriera i Maiden avevano eseguito così tanti pezzi lunghi degli anni ’80 nella stessa scaletta. Cinquant’anni dopo, ci hanno sorpreso ancora una volta. Tornando al concerto in sé, Bruce si conferma in splendida forma, con una prestazione incredibile, forse addirittura superiore a quella di quasi dieci anni fa. Tutto fila liscio fino alla parte atmosferica, quando Adrian sbaglia qualche accordo e Simon si trova in evidente difficoltà a tenere il tempo sul charlie, facendo andare di poco fuori tempo la band poco prima dell’inizio degli assoli. Ovviamente sarebbe stato meglio se non ci fossero stati errori, ma continuiamo a ripetere che questo è il primo show di un tour mondiale, e qualche sbavatura è più che normale, specialmente in un brano come questo. Si tratta comunque di pochi attimi, che non compromettono un’esecuzione nel complesso ottima della title track di Seventh Son. Adrian, alla fine del brano, ci regala addirittura le note alte, cosa che non aveva fatto nel Maiden England. Anche qui, però, permetteteci una domanda: dove sono finiti gli airburst?
Neanche il tempo di riprendersi, e Simon scandisce il tempo di The Trooper. Forse è proprio qui che il batterista non dà il massimo, offrendo una performance che, pur comprendendo tutti i fill (compresi quelli iniziali e finali, ovviamente), si sente non essere propriamente “sua”. D’altronde ci sono parti di Nicko che sarebbe quasi un sacrilegio suonare in modo diverso, però secondo noi qui c’è ancora da lavorare un pochino. Ritornano il Trooper Eddie e la bandiera del paese in cui la band si sta esibendo, come nel 2018, anche se in questo caso non c’è alcun duello tra Bruce ed Eddie.
Segue Hallowed Be Thy Name, anche questa assente dal 2022. Simon e il resto della band propongono una versione leggermente più simile a quella su disco rispetto a quella a cui ci aveva abituati Nicko, il che non dispiace affatto. Durante questa canzone possiamo notare, ancora una volta, la genialità dei Maiden nell’approcciarsi alle nuove tecnologie. All’inizio della parte strumentale che porta agli assoli, la gabbia in cui Bruce canta esplode, e poco dopo vediamo nuovamente il cantante… all’interno del maxischermo! In questo filmato, Bruce scappa dall’angelo della morte che lo insegue; poco prima della fine degli assoli, il frontman si getta nel vuoto, per poi riapparire in forma corporea e terminare la canzone. In quel preciso momento, i Maiden hanno spazzato via ogni dubbio riguardo all’utilizzo degli schermi al posto dei classici teloni.
Ed eccoci finalmente a Iron Maiden. Non sprecheremo parole sulla performance in sé (dai, sono cinquant’anni che la suonano quasi ogni sera!), ma vorremmo scrivere due righe sul contesto visivo. Mentre la band suona, sul ballatoio partono, ogni tanto, dei pyro in maniera apparentemente casuale. Allo stesso modo, sullo schermo si può intravedere il logo del gruppo a intermittenza, almeno fino al primo ritornello. Ci siamo chiesti che senso avesse tutto ciò e l’unica spiegazione che ci siamo potuti dare è che quei pyro dovessero partire ogni volta che il logo appariva sullo schermo, e che tutto ciò dovesse avvenire quando Bruce cantava le parole “Iron Maiden”. L’idea è anche bella, ma senza suonare a clic è impossibile ottenere un risultato decente. Non a caso, a partire dal giorno dopo, tutto questo è stato accantonato, lasciando solo il logo intermittente. Tuttavia, tralasciando queste chiacchiere da nerd dei pyro, ciò che colpisce tutti è l’assenza di un Eddie fisico. Ecco cosa non ci tornava nel palco mentre guardavamo gli Halestorm: era molto più lungo, dato che non c’è più lo spazio per far emergere un Eddie gigante. Gli Iron Maiden interrompono quindi una tradizione che durava da quasi mezzo secolo, optando per una soluzione totalmente digitale. Diciamoci la verità: grazie all’escamotage della barra nera in fondo allo schermo, il lavoro è ottimo, perché Eddie (qui in versione Piece of Mind) sembra davvero uscire dal retro del palco, con il vantaggio di essere più grande e mobile di un semplice gonfiabile. Resta però il fatto che non vedere nulla di reale è più un colpo al cuore che uno alla vista. Detto ciò, la scena in cui la mascotte stacca dei finti cavi (con tanto di esplosione vera) è davvero ben riuscita.
La parte principale del concerto si chiude qui: è il momento delle encore.
Dopo la consueta pausa di qualche minuto, dalle casse iniziano a sentirsi suoni non proprio chiarissimi, almeno all’inizio. Per un breve istante ci illudiamo addirittura che quello sia l’intro del tour di Fear of the Dark, al quale sarebbe seguita Be Quick or Be Dead. Ma il rombo degli aeroplani, i filmati da cinegiornale e le micro-esplosioni sul palco (rimosse poi negli show successivi... mah) ci riportano alla realtà: “We shall go on to the end…”.
Fa sorridere pensare che tredici anni fa Bruce avesse fatto dei commenti d’odio (scherzosi) a Steve Harris per aver inserito Aces High come prima encore, e che nel 2025 ci ritroviamo davanti alla stessa scena. Perché sì, la band riprende proprio con questa traccia, una delle più difficili da cantare, figurarsi a fine concerto. Rispetto al 2022 (quando era davvero l’ultima in scaletta), va detto che Bruce riesce a gestirla molto meglio. Non cerca di fare i ritornelli come su disco - sa bene che in quel punto dello show è impossibile - per cui li canta in tonalità più bassa, con l’aiuto di Adrian, ottenendo un risultato più che buono. E rispetto al 2022 torna anche l’urlo finale!

Dopo ben quindici canzoni arriva finalmente il turno di Fear of the Dark, che riesce a far cantare tutta l’arena, nonostante le forze di noi poveri mortali siano ormai quasi esaurite. Bruce in controluce sulla luna proiettata sullo schermo è destinato a diventare uno dei momenti più iconici del tour.
Ed ecco che arriva la traccia conclusiva dello show, la quale ha sicuramente fatto storcere il naso a parecchi. Dopo aver chiuso tutti i concerti del 2023 e del 2024, è nuovamente Wasted Years a fare da closer. Diciamo che nel contesto della celebrazione dei 50 anni della band la scelta è sensata, però è innegabile che sia anche un po’ pigra. Una semplice Running Free sarebbe stata più azzeccata. Ovviamente, questi sono tutti discorsi che si fanno dopo lo show, perché mentre sei lì, nella folla, magari abbracciato a degli sconosciuti, a cantare “Realize you’re living in the golden years”, non vorresti sentire altro che quella canzone.
Nota a parte: tra gli schermi del ballatoio e quello sul fondo, l’effetto da “Time Machine” era perfetto; così doveva essere la produzione del Future Past!
Il concerto si conclude così, tra lanci di polsini e bacchette. Oltre due ore di musica, senza praticamente interruzioni (probabilmente la scaletta più lunga da quando c'era Blaze). La sensazione è che tutti i presenti siano al settimo cielo. Ma in particolar modo vogliamo soffermarci su due ragazzini, probabilmente sui 13 o 14 anni. Continuano a guardare il palco vuoto con le lacrime agli occhi e un sorriso che non si ottiene solamente vedendo un bel concerto. Per quei ragazzi era sicuramente il primo show dei Maiden in assoluto; vale a dire che hanno visto la band per la prima volta 50 anni dopo la sua formazione. Nonostante ciò, siamo certi che quel sorriso e quelle lacrime fossero le stesse che abbiamo avuto tutti noi 5, 10, 30, anche 50 anni fa, quando abbiamo assistito per la prima volta a un concerto degli Iron Maiden. Quelle facce sorridenti fanno dimenticare ogni perplessità che si può avere sulla scaletta o altro, lasciando spazio a una sola certezza: gli Iron Maiden ce l’hanno fatta, ancora.
Sebbene ci piacerebbe chiudere così, è impossibile non fare un po’ i pignoli su alcune cose. La scaletta è stupenda, c’è poco da dire: sentire nello stesso show Killers, Phantom of the Opera, Powerslave, Rime of the Ancient Mariner, Seventh Son of a Seventh Son e Hallowed Be Thy Name è qualcosa di illegale. Detto ciò, magari una Bring Your Daughter... to the Slaughter, per “celebrare” anche No Prayer for the Dying, non sarebbe stata una brutta idea, così come una Infinite Dreams avrebbe potuto prendere il posto di The Clairvoyant. In molti (o meglio: quelli che hanno visto molte volte i Maiden) non sembrano soddisfatti delle encore, però pensate ai ragazzini di cui vi abbiamo parlato sopra: loro avrebbero preferito una deep cut o un classico come Aces High?

Su Dawson alla batteria sembrava fosse scoppiata una guerra mediatica, quando in realtà è facilmente verificabile che il consenso sia perlopiù positivo. Noi vi diciamo la nostra: sicuramente nella prima sera non è stato impeccabile, così come non lo sono stati gli altri. Il problema principale, secondo noi, non è il suo stile o le sue abilità, quanto più la pressione che ha avuto addosso durante lo show (e che ci ha confermato di avere ancora, durante una breve chiacchierata a Praga). Basti pensare a certi commenti spuntati fuori dopo aver sentito la sua rullata di Murders in the Rue Morgue. E qui una precisazione: in molti dicono che non sia proprio in grado di suonarla, in quanto nelle ultime battute scandisce i sedicesimi anziché proseguire; se fosse stato un episodio isolato sarebbe comprensibile, ma secondo voi, dopo sette concerti (nel momento in cui scriviamo), Steve Harris non gli avrebbe già intimato di correggerla? Probabilmente è proprio quest’ultimo, insieme al resto del gruppo, che preferisce così. Ricordiamoci che Murders è uno dei pochi pezzi dei Maiden dove tutta la band parte all’unisono, per cui è normale che vogliano andare sul sicuro. E non dimentichiamo nemmeno che ci sono delle esplosioni da azionare, per cui è sicuramente una scelta, non un errore. Dai, fa cose molto più complicate durante il resto del concerto.
Per il resto, ribadiamo che qualche inghippo c’è stato, ma sicuramente migliorerà (avendo visto anche diversi show successivi a questo possiamo già darvene conferma parziale). Non solo deve entrare nel mood del tour, ma anche in quello degli Iron Maiden. Se poi vogliamo passare il concerto a scovare l’errore per poi gridare allo scandalo sui social è un altro discorso, ma a quel punto potete anche risparmiare i soldi del biglietto e cercare la gaffe nei (pochi, grazie alla richiesta dei Maiden di limitare l’uso dei telefoni) video su YouTube.
“Ma quindi vale la pena vedere questo tour?”
Assolutamente sì. Non è solo un concerto, è un viaggio che ripercorre la prima parte della storia della band, quella su cui si basa tutto. Chi li ha già visti non potrà rimanere emotivamente indifferente, anche solo a livello nostalgico, mentre chi è alle prime armi ha l’occasione perfetta per scoprire cosa ha reso magica questa band nei primi anni.
Noi siamo appena tornati, ma già non vediamo l’ora di ripartire. Perché il concerto più bello degli Iron Maiden è sempre il prossimo!
SCALETTA:
Murders in the Rue Morgue (prima volta in 20 anni)
Wrathchild (prima volta in 8 anni)
Killers (prima volta in 26 anni)
Phantom of the Opera (prima volta in 9 anni)
The Number of the Beast (prima volta in 3 anni)
The Clairvoyant (prima volta in 12 anni)
Powerslave (prima volta in 8 anni)
2 Minutes of Midnight (prima volta in 6 anni)
Rime of the Ancient Mariner (prima volta in 16 anni)
Run to the Hills (prima volta in 3 anni)
Seventh Son of a Seventh Son (prima volta in 11 anni)
The Trooper
Hallowed be Thy Name (prima volta in 3 anni)
Iron Maiden
Aces High (prima volta in 3 anni)
Fear of the Dark
Wasted Years
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